
Attività fisica in donne in menopausa
e post-menopausa15.1 L’esercizio fisico
L’esercizio fisico è una misura preventiva di salute sottoutilizzata.
L’inattività fisica, infatti, è una causa importante di decessi, di
malattie e di inabilità.Circa due milioni di morti l’anno, nel mondo,
sono dovute all’assenza di esercizio fisico, ed i risultati preliminari
di uno studio dell’OMS sui fattori di rischio e sui determinanti di
malattia individuano la sedentarietà come una delle prime dieci
cause di decesso e di disabilità, tanto che l’OMS ha proclamato il 7
aprile 2002 il “world health day”2002 con lo slogan “move for
health” (1). La mancanza di esercizio fisico accresce la mortalità per
tutte le cause ed in particolare raddoppia il rischio di malattie cardiovascolari,
di diabete di tipo II e di obesità accentuando inoltre il
rischio di cancro del colon e della mammella, di ipertensione, di dislipidemie,
di osteoporosi, di depressione e di stati ansiosi. È un problema
che interessa una percentuale molto elevata, anche se non precisamente
quantizzabile, di donne ed in particolare di quelle di condizione
socioeconomica e culturale più bassa.
Le donne soffrono in misura maggiore e più precocemente di
limitazioni motorie rispetto ai loro coetanei maschi: già dai 55 anni
e con incrementi significativi fino agli 80 anni ed oltre, le donne si
trovano a convivere, in misura maggiore rispetto agli uomini, con
problemi legati alla sfera motoria (nella fascia di età 55-64 anni il
tasso per le donne è pari al 22,9 per mille contro il 14,7 per mille per
gli uomini (2). Ciò è soprattutto da attribuire alla maggiore incidenza,
tra le donne, di osteoporosi e lombosciatalgie da discopatia che
insorgono soprattutto dopo i 50 anni compromettendo la funzionalità
dell’apparato osteomuscolare e limitando l’autonomia motoria.
Tra gli ultraottanteni il divario aumenta: sono 176,1 su mille gli
uomini con limitazioni motorie e 248,6 su mille le donne con le stesse
difficoltà (2).
La difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane coinvolge
complessivamente oltre un milione e mezzo di persone, con una prevalenza,
anche in questo caso, di donne rispetto agli uomini (il tasso è
pari a 37,3 per mille per le donne contro il 19,7 per gli uomini) (2).
Nonostante l’apparente accettazione dell’importanza dell’attività
fisica, la maggior parte della popolazione adulta ed anziana resta
sedentaria.
Negli ultimi anni il numero delle persone attente al proprio benessere
fisico va però aumentando e, secondo il rapporto CENSIS 1998
(3), raggiungeva il 48,6% degli italiani (in questo ambito va sottolineato
proprio l’incremento nell’attività sportiva da parte delle
donne ed in particolare di quelle fasce di età e di popolazione non
direttamente coinvolte nella pratica agonistica).Va detto comunque
che ancora oggi (dati CENSIS), il 37,8% della popolazione italiana
non svolge alcuna attività fisica o sportiva nel proprio tempo libero.
L’ultimo “rapporto ISTAT sulle condizioni di salute della popolazione
italiana” (2002) (2) evidenzia che le donne più degli uomini
dichiarano di non praticare alcun tipo di attività fisico-motoria regolare
pur essendo impegnate in misura maggiore in attività domestiche
o lavorative che richiedono uno sforzo intenso (7,6% contro il
5,4% degli uomini). Un maggiore impegno fisico nell’esercizio e
nelle attività domestiche coinvolge le fasce di età adulta; in particolare
tra le persone di 45-54 anni la quota raggiunge il 9,7% mentre
tra gli ultrasessantacinquenni scende al 3,9%. Tuttavia, mentre il
numero degli uomini che svolge attività lavorativa o domestica che
comporta sforzo fisico diminuisce sensibilmente con l’aumentare
dell’età, le donne, essendo investite della responsabilità della cura
della casa, continuano a svolgere attività fisicamente impegnativa
anche in età più avanzata (5,7% delle donne di oltre 65 anni contro
l’1,3% degli uomini). Complessivamente, comunque, sono soprattutto
le donne con problemi di sovrappeso e con problemi di obesità
le persone più inattive (rispettivamente il 33,7% e il 33,3% contro il
24,8% delle donne senza problemi di peso).Va sottolineato che proprio
nella fascia di età 45-54 anni, il tasso di obesità raddoppia
rispetto alla fascia di età 35-44 (11,7% contro 5,4%) (2).
Tra gli anziani la metà delle donne obese (52,5%) non svolge alcuna
attività motoria, tra le coetanee in sovrappeso la quota è pari al 46,9%
mentre scende, negli uomini, rispettivamente al 39,2% e al 31,6%.
L’enfasi per la promozione dell’esercizio fisico nella donna in età
di menopausa ed in postmenopausa, accentuatasi soprattutto negli
ultimi anni, ha due sostanziali ragioni:
• Studi epidemiologici dimostrano che il livello di attività
fisica è correlato a maggior aspettativa di vita (12 ) e di vita attiva in
particolare, a minore disabilità, a maggiore probabilità di sopravvivenza
per donne > di 65 anni, con tutte le relative conseguenze
anche sulla spesa sanitaria;
• La crescita della popolazione anziana (e femminile in particolare):
nel 2050 una persona su 5 avrà più di 65 anni.
L’attività fisica viene rivalutata anche dal recente modello
ICIDH-2 dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “l’attività
fisica rappresenta un indicatore dello stato di salute individuale
ed uno strumento terapeutico per ottimizzare la partecipazione
della donna anziana alla vita sociale e produttiva”. Un numero
sempre maggiore di donne in menopausa chiede oggi di poter partecipare
a programmi di esercizio o di ricondizionamento fisico.
L’American College of Sports Medicine (ACSM) già nel 1999 ha
formulato le raccomandazioni posologiche per la prescrizione dell’esercizio
fisico in una popolazione di seconda-terza età (5,6):
• frequenza di allenamento 3/5 giorni alla settimana
• intensità al 60-90% della Fc max (frequenza cardiaca
massima = 220 meno gli anni di età)
• 50-85% della riserva di VO2
• durata: 25-60 minuti di attività aerobica con
coinvolgimento di larghi gruppi muscolari
• esercizi di allenamento alla forza al 50-75% della massima
resistenza con 8-12 ripetizioni di 8-10 esercizi allenanti i
maggiori gruppi muscolari 2 gg. alla settimana.
Queste raccomandazioni non sono evidentemente adeguate per le
donne più fragili, per le quali l’obbiettivo di migliorare l’efficienza fisica
appare troppo ambizioso. Infatti i programmi di promozione di una
attività fisica troppo vigorosa per la popolazione femminile più anziana
hanno conosciuto un fallimento: negli Stati Uniti solo il 2% delle donne
attorno ai 60 anni partecipa a programmi in linea con queste linee-guida.
Si stima che in Italia, poco più del 4% delle donne intorno ai 60
anni svolga attività fisica strutturata. Le linee-guida dell’OMS di
Heidelberg (1996) enunciano il concetto che l’attività fisica deve
essere prescritta a tutti secondo un gradiente di salute/efficienza
fisica, differenziando gli obiettivi a seconda della posizione individuale
in tale sistema di riferimento. Esistono per la donna in menopausa/postmenopausa
due categorie di obiettivi parzialmente
sovrapposti: gli uni legati al mantenimento/miglioramento dell’efficienza
fisica, gli altri al mantenimento/miglioramento dello stato di
salute (prevenzione dell’osteoporosi, della malattia coronarica, riduzione
delle cadute, controllo del peso ecc.).
In considerazione di questo allargamento degli obiettivi, l’ACSM
ha abbassato al 35-40% VO2 max l’intensità raccomandata per un
esercizio fisico più adeguato per la donna anziana. Vi è evidenza che
programmi svolti attorno a queste intensità in popolazioni di donne
anziane hanno benefici effetti sulle capacità vitali e anche sui parametri
della fitness (5).
Un altro aspetto cruciale della prescrizione dell’esercizio fisico
nella donna in postmenopausa è che l’attività deve essere a basso
impatto meccanico (cammino, cammino veloce, nuoto, bicicletta
ecc.) per evitare l’insorgenza di lesioni muscolo-scheletriche, ed il
carico deve essere proposto in modo progressivo, con un sistema di
progressione che consenta di arrivare al massimo nello spazio di 4-
6 settimane. Attualmente si raccomanda che anche donne anziane
con patologie croniche età-correlate (es. diabete, ipertensione controllata,
osteoartrosi, osteoporosi, ecc.) partecipino a programmi di
attività fisica modificati a seconda delle capacità funzionali e degli
specifici obiettivi. In effetti, alcuni studi (7) dimostrano che proprio
le anziane “fragili” sono le principali beneficiarie di programmi di
allenamento alla forza: miglioramenti della forza muscolare inducono
infatti in queste persone positivi cambiamenti nelle capacità funzionali
e nella qualità di vita. È evidente, quindi, la necessità di sviluppare
anche programmi specifici per donne anziane sedentarie,
che per vari motivi rifiutano programmi di attività fisica strutturata:
ad esempio, il Cooper Institute di Dallas ha proposto un esercizio
“life-style” che consiste nel superimporre a compiti quotidiani, picchi
di attività ad intensità sostenuta, invece della seduta giornaliera
di esercizio fisico.
Oltre agli effetti fisiologici e funzionali dell’attività fisica, vanno
anche considerati gli effetti sui patterns quotidiani. Un esercizio fisico
strutturato ha dimostrato di indurre, nelle donne, cambiamenti
positivi dello stile di vita, ad esempio minor uso dell’automobile ed
un maggior tempo impiegato in attività fisiche e ricreative. Cautela
va comunque usata nel dosare l’attività fisica nella donna più anziana.
Un sovradosaggio, oltre ai potenziali rischi di lesioni muscoloscheletriche,
potrebbe costituire un’arma a doppio taglio e diminuire
in realtà l’attività fisica totale quotidiana, perché il soggetto
diventa eccessivamente affaticato.
Nell’immediato futuro la ricerca deve sempre più impegnarsi
nella definizione dei dosaggi ottimali del “farmaco” attività fisica
(8) soprattutto quando coesistono patologie croniche età-correlate.
Definizione di attività fisica moderata: viene descritta come
quella attività che “comporta un lavoro così intenso come il camminare
veloce”. L’“attività moderata” viene svolta ad una intensità da
3 a 6 MET (tasso metabolico attivo/tasso metabolico a riposo) che
corrisponde, per la maggior parte delle donne anziane sane, ad un
camminare alla velocità di circa 4-6 km orari.
Obiettivo di un programma di salute pubblica per l’attività fisica,
sarebbe quello di ottenere che almeno il 30% delle donne di mezza
età pratichino continuativamente un’attività comportante il raggiungimento
ed il mantenimento del pieno benessere psicofisico, e
soprattutto cardiorespiratorio, all’incirca 5 volte la settimana per un
totale di 200-220 minuti complessivi.
MET : metabolismo sotto sforzo/metabolismo basale; 1 MET corrisponde al consumo
di ossigeno di un adulto seduto a riposo.
15.2 Benefici cardiovascolari
Studi epidemiologici prospettici hanno dimostrato che uno stile di
vita sedentario è associato a maggior rischio di morte cardiovascolare
e coronarica e da tutte le cause (9,10). Una regolare attività fisica
di tipo aerobico, gioca un ruolo importante nella prevenzione primaria
e secondaria delle patologie cardiovascolari; esiste una relazione
inversa tra il verificarsi di un evento coronarico e la pratica di
attività fisica regolare e una buona capacità aerobica; l’attività fisica
ha effetti benefici sui principali fattori di rischio di malattia coronarica:
ipertensione, dislipidemie (aumento di HDL colesterolo e diminuizione
dell’LDL), obesità, insulino resistenza.
Camminare lentamente velocemente velocemente in salita
( 1,5-3,0 Km/h ) ( 4,5-6,0 Km/h ) o con carico
Nuotare lentamente sforzo moderato nuoto veloce
Andare in per diletto velocemente
bicicletta (<_ 15 Km/h) (> 15 Km/h)
Giocare a golf senza trascinare trascinando
il carrello il carrello o
le mazze
Andare in barca barca a motore canoa per diletto canoa veloce (> 6 Km/h)
Fare lavori pulire i tappeti pulizia generale spostare mobili
domestici
Falciare il prato guidare spingere falciare a mano
Ballare slow, lenti valzer, tango, latino-americani,
foxtrot, twist
Fare riparazioni falegnameria dipingere le ramazzare le foglie per
domestiche pareti 30’ continuativamente
Tab. 1 – Esempi di attività fisiche comuni rappresentate
come intensità di sforzo richiesto
espresso in multipli del consumo di ossigeno a riposo (4)
Tipo di attività Attività moderata
(3 - 6 MET) Attività leggera
(< di 3,0 MET)
Attività intensa
(> 6,0 MET)
renti la trombogenesi. L’attività fisica, inoltre, incrementa la tolleranza
allo sforzo e la capacità aerobica dell’organismo, potenziando la
capacità dei muscoli di utilizzare l’ossigeno circolante, riducendo la
frequenza cardiaca e la pressione arteriosa ai carichi di lavoro submassimali
e riducendo quindi il consumo di ossigeno del cuore.
(8,9,10).
L’ACSM in accordo con l’American Heart Association (AHA) ha
indicato le linee-guida per l’attività aerobica nelle donne di
mezza età per la prevenzione ed il trattamento dell’ipertensione,
delle dislipidemie, per la riabilitazione cardiologica e le altre
patologie da aterosclerosi con indicazioni che confermano e precisano
concetti già espressi:
• praticare attività fisica da tre a cinque volte
(preferibilmente) la settimana
• riscaldarsi 5-10 minuti prima di iniziare una attività aerobica
• mantenere l’intensità dell’esercizio per 30-45 minuti
• ridurre gradualmente l’intensità del lavoro e concludere la
seduta con 5-10 minuti di stretching
• (se la riduzione del peso è l’obbiettivo principale, praticate
attività aerobica almeno per 30 minuti cinque volte
la settimana).
• è importante che l’esercizio sia praticato in maniera regolare
e facendo bene attenzione a mantenere l’attività cardiovascolare
(la frequenza cardiaca) a livelli submassimali;
un’attività di tipo saltuario, praticata in maniera intensiva,
poche volte al mese, può anche essere dannosa per il cuore.
Un cuore allenato invece, oltre ad avere un rischio minore
di malattia, è anche più resistente a situazioni di stress psicofisico.
Calcolare il livello di intensità di esercizio procedendo in
questo modo:
• determinare la propria frequenza cardiaca massima
allenante: 220 meno l’età in anni
• Determinare il livello minimo di frequenza cardiaca
di esercizio moltiplicando il livello massimo di frequenza
per 0,6
• determinare il limite più alto di frequenza consentito durante
l’esercizio moltiplicando la frequenza cardiaca massima
per 0,9; la frequenza media di esercizio dovrà essere collocata
tra il livello più alto e quello più basso.
Per determinare, durante l’esercizio, quale è la frequenza cardiaca
alla quale si sta lavorando, è necessario fermarsi brevemente e
misurare la frequenza al polso per 60 secondi pieni. Se la frequenza,
per es. in una donna di 50 anni, è tra 85 e 119 battiti al minuto, ella
si sta allenando ad una intensità moderata.
Per molte donne, praticare attività fisica al livello più basso di frequenza
per un tempo più lungo è più utile che esercitarsi a più alto
livello ma per un tempo più breve. Esercitarsi ad un livello di intensità
più basso migliora il benessere complessivo.
I farmaci antiipertensivi possono modificare la frequenza cardiaca
durante l’esercizio. In questo caso consultare il medico per determinare
la frequenza cardiaca ideale.
L’allenamento all’esercizio fisico aumenta la capacità cardiovascolare
e riduce la domanda miocardica di ossigeno ad ogni livello
di attività fisica sia nei soggetti in apparente buona salute che nella
maggior parte dei soggetti con patologie cardiovascolari. Un’attività
fisica regolare è necessaria per mantenere questi effetti dell’allenamento.
L’attività aerobica aggiunge un favorevole effetto ipotensivo
(riduzione di 8-10 mm Hg sia della PA sistolica che diastolica) in
alcuni gruppi di ipertesi (11).
Alcuni studi recenti dimostrano che anche un modesto cambiamento
della pratica quotidiana in soggetti di età media ed avanzata
mediante l’adozione di una moderata attività fisica, ha un effetto
benefico sulla mortalità di qualunque origine, e in particolare sul
rischio di eventi coronarici non fatali (12). Benché questi risultati
siano mediati dalla relazione tra livello abituale di attività fisica e
altri determinanti del rischio coronarico, in altre numerose osservazioni
degli scorsi anni, tuttavia, nate per stabilire una relazione tra
l’esercizio fisico e la malattia coronarica, con follow-up di circa 30
anni e però con popolazione arruolata prevalentemente maschile e
solo occasionalmente femminile, si evidenziava che le persone di
entrambi i sessi fisicamente più attive vivevano più a lungo (13).
Questi stessi effetti positivi, insieme alla capacità di mantenere un
corretto peso corporeo e di ridurre il rischio di diabete non insulinodipendente,
si ricavano dall’analisi trasversale dei dati dello studio
“Healthy Women Study” che ha valutato gli effetti dell’attività fisica
nelle donne in climaterio (13). Uno studio prospettico osservazionale
con follow-up di 7 anni, lo Iowa Women’s Health Study, su
40417 donne in postmenopausa, ha evidenziato che le donne che
praticano l’esercizio fisico anche una sola volta la settimana hanno
un rischio di mortalità significativamente minore rispetto alle donne
sedentarie (4). È possibile che la metodologia dello studio possa aver
celato fattori capaci di determinare un bias nei risultati e che ulteriori
studi randomizzati siano necessari per confermare questi dati preliminari.
Tuttavia, anche se la dimostrazione che nelle donne l’esercizio
fisico sia in grado di determinare una riduzione significativa
della cardiopatia ischemica (CI) e della mortalità, oltre che del profilo
lipidico, sia tuttora incompleta (18) si può ragionevolmente supporre
una riduzione dal 25 al 30% del rischio nella popolazione femminile
attiva rispetto a quella sedentaria, così come rilevato nei
maschi.
L’evidenza attuale (15) dimostra che anche un’attività moderatamente
intensa, forse prediletta dalle donne, come una passeggiata
sostenuta, può ridurre il rischio coronarico, probabilmente attraverso
gli effetti benefici ottenuti con la diminuizione di altri determinanti
del rischio (16-17). Recentemente infatti è stato dimostrato che
40 minuti di esercizio aerobico moderato diminuiscono sensibilmente
per quasi tutta la durata delle ore diurne i valori pressori sistolici,
diastolici e medi di donne in premenopausa, moderatamente
ipertese (17); inoltre i livelli osservati di plasminogeno plasmatici
delle donne in post menopausa sono significativamente più bassi
quando è presente una attività fisica regolare (17).
Le linee-guida dell’ACSM e del Center for Disease Control and
Prevention di Atlanta 1995/96 (5,6,17), in accordo con l’evidenza
clinica e altri studi (18) suggeriscono di praticare almeno 30 minuti
di esercizio fisico moderatamente intenso la maggior parte dei giorni
della settimana, (programma eseguibile e sicuro per la stragrande
maggioranza della popolazione). In particolare, anche le più recenti
raccomandazioni dell’American Heart Association e dell’American
College of Cardiology per la prevenzione primaria nelle donne (19)
prevedono un minimo di 30 minuti quotidiani di esercizio dinamico
moderatamente intenso, anche intermittente, con tratti di circa 10
minuti ciascuno, e incoraggiano l’attività fisica nelle pratiche quotidiane
(ad esempio, uso delle scale invece dell’ascensore, scendere
dal bus qualche fermata prima di quella necessaria, parcheggiare
lontano dall’ingresso del supermercato ecc.) ed esercizi di allungamento
muscolare eseguibili nel programma complessivo delle attività.
Prima di iniziare qualunque pratica fisica deve essere eseguita
una valutazione clinica e la prescrizione del programma nelle donne
sedentarie di età > 50 anni ed in quelle con due o più fattori di rischio
cardiovascolare va guidata.
L’apparato cardiovascolare si adatta ad un periodo di esercizio
fisico con l’aumento della portata cardiaca e con una significativa
quota di essa diretta ai muscoli in attività. La portata cardiaca/mn
durante l’attività fisica, aumenta di circa 4-5 volte rispetto ad un
valore di 5 l/min a riposo. Questo avviene come conseguenza di un
aumento della frequenza cardiaca e della gittata sistolica.
In un soggetto giovane, la frequenza cardiaca aumenta approssimativamente
da circa 70/mn a 200/mn e la gittata sistolica passa da
circa 70 ml a circa 150 ml. (ciò è evidente soprattutto negli esercizi
praticati in posizione verticale).
Le modificazioni del sistema cardiovascolare sono accompagnate
da ulteriori meccanismi di adattamento del sistema respiratorio.
La frequenza respiratoria, il volume corrente (e la ventilazione al
minuto) aumentano, mentre le resistenze respiratorie si riducono. Ne
consegue un incremento della ventilazione alveolare, che facilita un
aumento del volume di ossigeno e dell’eliminazione del C02.
L’attività fisica regolare promuove modificazioni significative nella
risposta cardiovascolare all’esercizio e al movimento. Presi globalmente,
questi cambiamenti rappresentano la risposta all’allenamento
ed, in particolare, l’effetto più significativo consiste in un aumento
complessivo della capacità di svolgere attività fisica, indicata da un
aumento del consumo massimo di ossigeno (o flusso massimo di ossigeno)
che per un soggetto sedentario normale è di circa il 15-20%.
Prima di cominciare attività fisica consultare il medico se:
Si è stati completamente sedentari per più di sei mesi.
Se una donna di circa 50 anni non ha eseguito nessun accertamento
o visita medica negli ultimi due anni
Se si è affetti da ipertensione, o diabete, o si ha una malattia cardiovascolare
Se è presente familiarità con decesso per malattia cardiovascolare
prima dei 50 anni
Se si assumono farmaci o si segue una dieta specifica per ridurre
il colesterolo
Se si assumono farmaci per patologie croniche
Se si fuma, o si è affetti da enfisema, asma, allergie o altre patologie
respiratorie
Se si è affetti da patologie croniche articolari che limitano i movimenti
la forza muscolare o la resistenza
Se si percepiscono dolori articolari o muscolari nei movimenti o
nel camminare o nello svolgere qualsiasi esercizio fisico
Se si è stati affetti in precedenza da incidenti muscolari o articolari
formalmente trattati o per i quali persiste sintomatologia.
15.3 Effetti fisici dell’invecchiamento
I cambiamenti legati all’invecchiamento comportano genericamente
una perdita di:
• massa muscolare magra
• capacità aerobica
• flessibilità
• equilibrio
• densità ossea
• tempi di reazione
• funzioni cognitive (per es.velocità della memoria)
I meccanismi alla base del processo di invecchiamento non sono
ancora perfettamente conosciuti. La maggior parte delle funzioni
biologiche dimostra comunque un progressivo deterioramento età-
correlato. Per alcuni aspetti, i cambiamenti strutturali e funzionali
che avvengono con l’età, sono simili a quelli osservati nell’inattività.
Ciò sembra indicare che l’inattività potrebbe giocare, in particolare,
un ruolo importante nell’invecchiamento del muscolo scheletrico.
Comunque i muscoli, anche nei soggetti anziani, mostrano una
considerevole plasticità quando sottoposti ad un aumento di carico e,
da un punto di vista funzionale, questi cambiamenti sono comparabili
in termini relativi a quelli osservati in soggetti giovani (22). È
presente tuttavia, un’ampia gamma di differenze individuali di condizioni
funzionali a parità di età, ma, in termini di forza muscolare,
di flessibilità, di capacità aerobica: un 65enne in ottime condizioni
può avere performances migliori di un 25enne sedentario. Nel valutare
quindi l’idoneità per un’attività fisica continuativa o nel raccomandare
un esercizio specifico, la decisione deve essere basata più
sull’età biologica che su quella cronologica anagrafica. Purtroppo
non esiste un metodo soddisfacente per determinare l’età biologica
di un individuo. Tra l’altro i diversi sistemi biologici e i diversi apparati
invecchiano in modo differente. I tentativi di combinare diversi
indicatori come l’imbiancamento dei capelli, la perdita di elasticità
della pelle, la riduzione della capacità vitale e l’allungarsi dei tempi
di reazione in un indice globale sembrano non fornire niente altro
che un metodo complicato ed inesatto di valutare l’età biologica di
un individuo.
Con l’aumentare dell’età, l’adattamento cardiovascolare all’esercizio
fisico si modifica: la maggior percentuale di richiesta totale di
energia deriva, infatti, dal metabolismo a riposo e questo diminuisce
con l’età all’incirca del 10% dall’età adulta fino ai 65 anni e di un
ulteriore 10% successivamente.
Motivo fondamentale di questa riduzione è la perdita di massa
muscolare magra attiva metabolicamente e di un parallelo incremento
di tessuto adiposo metabolicamente inerte.
La frequenza cardiaca massima ed il flusso di ossigeno massimo
si riducono. Il volume di ossigeno (la capacità respiratoria) diminuisce
con l’età alla velocità di circa l’1% annuo. Sembra acquisito che
una parte di questo declino sia da attribuire a processi patologici
subclinici. Inoltre ulteriori fattori centrali (per es.cardiaci) e periferici
(come la riduzione della massa muscolare) possono giocare un
ruolo importante. Per esempio è stato suggerito, sulla base di studi
umani e su animali, che la sensibilità dei recettori adrenergici diminuisce
con l’età, con la conseguente riduzione della frequenza cardiaca
massima. Il classico indice della frequenza cardiaca massima
allenante (220 meno il valore dell’età in anni) comporta un massimo
di 155/mn all’età di 65 anni. Ricerche recenti suggeriscono che una
sessantacinquenne ben allenata può anche raggiungere una frequenza
di 170 battiti al minuto anche se però la ridotta capacità muscolare può
portare ad una riduzione dell’attività massima. Si concorda che la
combinazione di questi fattori contribuisce alla riduzione della gittata
sistolica massima nei soggetti anziani. La frequenza cardiaca massima
e la gittata sistolica massima sono diminuite nell’anziano, anche il
VO2 massimo si riduce di 0,40-0,50 ml /kg/min nell’uomo. Questo
tasso di riduzione sembra inferiore nella donna (21). Il tipo e la natura
dell’esercizio fisico diventano affaticanti quando raggiungono più
del 35-50% della presa massima di ossigeno. La riduzione della capacità
di trasporto dell’ossigeno limita la capacità della donna anziana di
intraprendere anche funzioni normali della vita quotidiana come, per
esempio, il camminare in leggera salita.
Un programma di training aerobico appropriato può aumentare la
capacità aerobica di una donna di 65 anni fino ad un massimo di 10
ml/kg/min in un periodo di tre mesi, riducendo di fatto l’età biologica
del sistema di trasporto dell’ossigeno di circa 20 anni.
Il deteriorarsi delle funzioni fisiologiche normalmente associato
con l’invecchiamento è, nei fatti, la conseguenza della combinazione
della ridotta attività fisica e del processo di invecchiamento
propriamente detto. Mantenendo uno stile di vita attivo o
aumentando un livello di attività fisica precedentemente sedentario,
un soggetto anziano può conservare un relativamente alto livello di
funzionalità cardiovascolare e metabolica, inclusa la VO2 max e la
funzionalità muscolare (21).
La forza muscolare e la flessibilità si riducono comunque progressivamente
con l’età. La forza muscolare raggiunge il suo picco
intorno ai 25 anni di età, con un plateau intorno ai 35-40 anni e suc-
cessivamente inizia un progressivo declino con una perdita di forza
complessivo del 25% ai 65 anni. La massa muscolare diminuisce
apparentemente in volume ma non in numero delle fibre di tipo 2. È
poco chiaro se si tratti di una ipotrofia generale del muscolo scheletrico
o di una ipoplasia ed una degenerazione selettiva delle fibre del
tipo 2. Si realizza comunque anche un’alterazione delle fasi di eccitazione
e contrazione ed una riduzione del reclutamento delle fibre.
Sia il tempo di contrazione che l’emitempo di rilasciamento sono
prolungati, la velocità massima di contrazione è diminuita ed è
aumentato il tempo di recupero.
I cambiamenti sono più evidenti negli arti inferiori che in quelli
superiori, probabilmente a causa di una maggior inattività dell’uso
delle gambe con l’aumentare dell’età. La resistenza muscolare di
durata sembra apparentemente migliorare con l’età in parte perché i
muscoli contengono una più alta percentuale di fibre di tipo 1 ed in
quanto la più debole contrazione muscolare della donna anziana
riduce l’irrorazione muscolare meno che in un individuo giovane. La
sintesi delle proteine avviene più lentamente che in un individuo giovane,
ma uno studio caso-controllo tra individui attivi ed inattivi
suggerisce che una perdita di tessuto muscolare magro può essere
evitata e in parte ricostituita con esercizi di resistenza muscolare
regolari. Una muscolatura più forte, inoltre, aumenta la funzionalità
stabilizzando le articolazioni anche affette da processi osteo-articolari,
riducendo in particolare il rischio di cadute.
L’elasticità dei tendini, dei legamenti e delle strutture capsulari
diminuisce attraverso un deterioramento delle fibre collagene.
Durante l’arco della vita l’individuo può perdere fino ad 8-10 cm di
altezza e la flessibilità delle sue articolazioni si riduce (la funzionalità
dell’articolazione dell’anca può essere misurata con il test detto
“siediti-alzati”). L’elasticità delle articolazioni e dei legamenti si
riduce tanto più velocemente ed intensamente quanto più si è fisicamente
inattivi. Questa progressione può essere interrotta ed addirittura
ribaltata aumentando i propri livelli di attività e praticando
anche esercizi che migliorano la stabilità posturale.
Un importante beneficio di una migliore flessibilità è l’aumento
dell’equilibrio.
15.4 Effetti in genere
Nella maggior parte dei casi, uomini e donne che partecipano a
programmi di attività fisica, hanno risposte analoghe relativamente
alle funzioni cardiovascolari, respiratoria e metabolica (con livelli e
intensità di esercizio comparati). L’aumento relativo di VO2 max è
equivalente nell’uomo e nella donna. Con l’allenamento di resistenza,
la donna dimostra un equivalente aumento della forza, mentre
incrementa meno la massa magra per una minore ipertrofia muscolare
(21,22).
Numerose differenze tra i sessi sono state rilevate nella risposta
acuta all’esercizio. A livelli di intensità di esercizio equivalenti, le
donne hanno una risposta più elevata della frequenza cardiaca rispetto
all’uomo soprattutto come conseguenza di un inferiore gittata
sistolica. Inoltre le donne hanno una capacità inferiore di aumentare
il volume di ossigeno per il più basso tasso di emoglobina. Queste
differenze, in aggiunta alla maggior massa grassa relativa nella
donna, si traducono in un più basso VO2 max anche se corretto per
la quantità e l’intensità dell’allenamento.
La principale differenza nella risposta all’esercizio attribuibile
alla differenza di genere è la inferiore capacità totale di esercizio che
si traduce nel 20-25% di riduzione nella donna.
Oltre alla frequenza cardiaca massima più bassa, le donne hanno
un cuore più piccolo ed una cavità polmonare-toracica volumetricamente
inferiore. Anche questi fattori sono in grado di determinare
una riduzione della capacità all’esercizio fisico soprattutto nella
donna anziana.
La risposta ipertensiva durante l’esercizio fisico aumenta con
l’età, ma questo effetto può essere attenuato con l’allenamento regolare.
Sebbene queste differenze siano state osservate con l’invecchiamento,
nella donna l’esercizio allenante non diminuisce la risposta
pressoria. Inoltre la terapia sostitutiva ormonale sembra avere un
effetto favorevole sulla risposta pressoria all’esercizio fisico.
In generale, comunque, la risposta all’attività fisica è sostanzialmente
simile nell’uomo e nella donna, indipendentemente dall’età.
Nella società urbanizzata esistono barriere culturali che impedi-
scono od ostacolano la possibilità per molte donne di praticare una
attività fisica. Questa condizione spiega probabilmente la scarsità di
studi controllati effettuati per valutare gli effetti di un esercizio fisico
regolare sulle donne anziane. Purtuttavia, anche con questa limitazione,
gli studi fin qui effettuati dimostrano la favorevole risposta
di una attività fisica regolare e continuativa nelle donne nella sesta,
settima e anche ottava decade di vita. Tuttavia la prescrizione di
esercizi fisici dovrà tener conto della riduzione della frequenza cardiaca
massima e della relativa ridotta mobilità presente in genere
nelle donne più anziane.
15.5 Osteoporosi ed esercizio fisico
L’attività fisica può avere un ruolo importante nello sviluppo
della massa ossea nell’infanzia e nell’adolescenza e nel mantenimento
della massa scheletrica nell’adulto. Questa affermazione è
basata soprattutto sulla rilevazione che le giovani atlete hanno una
densità minerale ossea più alta che le giovani sedentarie di pari
caratteristiche ed età. Questi reports dimostrano anche che esiste un
differenziale di densità ossea con un aumento significativo in relazione
a più alti livelli di attività fisica. In analogia con questa funzione
nella giovane, l’attività fisica riveste un ruolo ben individuato
attraverso tutto l’arco della vita nel mantenimento della normale
struttura e della resistenza funzionale dell’osso. Un prolungato allettamento
o immobilità inducono una rapida e marcata riduzione della
densità minerale ossea (23).
Di particolare interesse per la salute pubblica è il grado col quale
l’attività fisica può prevenire o ridurre la perdita di massa ossea che
si verifica nella donna come un normale processo postmenopausale.
Studi cross-sectional su donne in postmenopausa hanno dimostrato
che la densità minerale ossea è correlata con la forza muscolare, con
l’attività fisica e il training cardio respiratorio (24,25). Studi longitudinali
su donne in postmenopausa attribuiscono il miglioramento
del benessere cardiorespiratorio e della massa ossea alla attività fisica.
Numerose evidenze dimostrano che attraverso l’attività fisica, le
donne affette da osteoporosi possono minimizzare la perdita di
massa ossea o favorire un certo incremento del contenuto minerale
osseo (25). Altri studi non hanno peraltro dimostrato questi benefici.
L’intensità dell’attività fisica ed il grado col quale essa stimola l’osso,
può rappresentare un fattore cruciale nel determinare se la massa
ossea verrà mantenuta. È verosimile che gli esercizi di resistenza
possano avere un più pronunciato effetto che quelli di durata. Alcuni
ricercatori hanno rilevato che gli effetti positivi dell’attività fisica
sulla densità ossea sia nelle donne in premenopausa che in quelle in
post menopausa dipendono dalla presenza di estrogeni. In postmenopausa
un maggior incremento della massa ossea si avrebbe in
concomitanza di attività fisica e terapia ormonale sostitutiva.
Tuttavia, nelle giovani donne sottoposte ad intensa attività fisica, si
può avere una riduzione dei livelli di estrogeni circolanti ed una
amenorrea secondaria con conseguente diminuizione della massa
ossea ed aumento del rischio di fratture da stress.
Le modificazioni nella densità minerale ossea correlate alla attività
fisica, osservate sia in premenopausa che in postmenopausa,
sono molto meno pronunciate di quelle osservate in studi cross-sectional
tra donne attive e donne sedentarie (26).
L’osso è un tessuto dinamico in continuo rimodellamento tra
costruzione e riassorbimento. L’attività fisica, attraverso i suoi effetti
di aumento del carico sullo scheletro, ha una specifica influenza
sulla densità minerale ossea e sulla sua architettura. Le cellule ossee
rispondono al carico meccanico con un miglioramento del bilancio
tra la formazione ed il riassorbimento osseo con incremento della
fase ricostruttiva. Con l’aumentare del carico aumenta la massa
ossea, e viceversa, quando lo scheletro è sottocaricato (come nell’inattività),
la massa ossea si riduce. Dal momento che sono i muscoli
ad esercitare una notevole forza sull’osso durante l’attività fisica,
il ruolo della massa muscolare e della sua forza nel mantenere l’integrità
dello scheletro deve essere più completamente indagato.
Mentre l’attività fisica è ormai diffusamente proposta come misura
di profilassi e di trattamento nelle condizioni di osteopenia e di
osteoporosi, il tipo, l’intensità e la frequenza degli esercizi restano
controversi. Le moderne tecniche come l’accelerometria compute-
rizzata hanno contribuito a dimostrare la correlazione esistente tra
l’energia totale consumata (in kcal) come misura dell’attività fisica
e la densità ossea, ma quale sia la tipologia di attività fisica in grado
di fornire i maggiori benefici per la densità minerale ossea rimane
controverso. Molte argomentazioni sono state utilizzate per promuovere
l’utilizzazione di esercizi con carico ovvero senza carico o gli
esercizi di potenza contro l’attività aerobica. Attività fisiche con
carico sono tipicamente il camminare o correre, lo sci di fondo e la
danza aerobica, mentre il nuoto o gli esercizi con i pesi sono in
assenza di carico. È tuttavia interessante rilevare che mentre il camminare
o correre producono sulla colonna lombare un forza corrispondente
da 1 a 1,75 volte il peso del corpo, le forze indotte dal sollevamento
pesi sono 5-6 volte il peso corporeo. Studi controllati
hanno dimostrato che gli esercizi con carico sono in grado di ritardare
la perdita di massa ossea della colonna e degli arti inferiori
mentre gli esercizi in assenza di carico (esercizi di forza), non sono
efficaci (26,27). Questi studi dimostrano che l’esercizio migliora la
densità minerale ossea nei segmenti che sostengono un carico, come
il femore, il calcagno e le vertebre, e c’è anche un effetto addizionale
sistemico su ossa che non sopportano un carico come per es. il
radio.
Si può concludere che l’attività fisica con carico è l’esercizio
migliore per attenuare la perdita di massa ossea.
Nelle donne in postmenopausa, un regime che comporta esercizi
sotto carico, la terapia sostitutiva ormonale ed una supplementazione
di calcio sembrano essere il trattamento di scelta.
15.6 Prevenzione delle fratture e delle cadute
Gli studi sulla attività fisica correlata alle frattura dell’anca nelle
donne in postmenopausa hanno generalmente evidenziato un più
basso rischio di fratture nelle donne fisicamente più attive. Tre studi
di coorte hanno riportato un evidente effetto protettivo dell’attività
fisica. Uno di essi ha dimostrato un effetto protettivo statisticamente
significativo anche tra coloro che praticavano solo una attività di
base di tipo ricreativo; gli altri due studi (26) hanno dimostrato una
inversa ma non statisticamente significativa associazione sia per
l’attività fisica di tipo lavorativo che per quella di tipo ricreativo ed
un significativo effetto protettivo del camminare in modo veloce
(27). Alcuni studi caso-controllo hanno dimostrato un significativo
effetto protettivo solamente per attività di tipo moderato.
Fattori non scheletrici che aumentano il rischio di frattura da
caduta includono le limitazioni delle attività quotidiane, la compromissione
della deambulazione, dell’equilibrio, dei tempi di reazione
e del tono muscolare; la riduzione della vista; l’uso di medicinali e i
rischi generici provenienti dall’ambiente (27). Numerosi esercizi
possono aiutare a prevenire le cadute migliorando il tono muscolare,
la capacità funzionale, l’equilibrio, la deambulazione ed i tempi di
reazione.
L’attività fisica, inclusi gli esercizi di resistenza muscolare,
dimostra in conclusione un effetto protettivo nei confronti delle fratture
da caduta nelle donne anziane soprattutto attraverso un miglioramento
della forza muscolare e dell’equilibrio.
15.7 Mobilità articolare
La mobilità articolare detta anche articolarità, flessibilità, estensibilità
ecc. è la capacità che permette di compiere movimenti ampi al
massimo della escursione fisiologica consentita dalle articolazioni.
Questa possibilità è condizionata:
• dalla struttura ossea delle articolazioni
• dalle sue componenti anatomiche e funzionali (grado di
estensibilità dei legamenti, dei tendini e dei muscoli)
• dalla temperatura ambientale (la bassa temperatura riduce
la mobilità)
• dall’insufficiente livello di riscaldamento del corpo.
Tra gli 11 e i 14 anni sia nei maschi che nelle femmine è abbastanza
facile incidere sulla articolarità, in quanto ad una massa
muscolare ridotta si unisce una struttura tendineo-legamentosa parti-
colarmente elastica. Dopo l’adolescenza, con la maturazione progressiva
dell’apparato muscolare questa elasticità inizia a decrescere. Le
donne presentano una maggiore mobilità articolare rispetto ai maschi
perché posseggono minore massa muscolare e quindi minore tono.
15.8 Esercizi per il miglioramento della mobilità
articolare e per l’allungamento muscolare
Gli esercizi di allungamento muscolare sono principalmente utili:
• per una diminuzione della tensione muscolare
• per una prevenzione e una limitazione dei traumi
all’apparato locomotore
• per una attenuazione dei dolori e delle contratture
muscolari
• per un miglioramento della circolazione sanguigna
• per un miglioramento della coordinazione
• per poter eseguire i movimenti in maniera più ampia
e più veloce
• per un miglioramento della consapevolezza del
proprio corpo
• per agevolare il rilassamento generale
• per un più rapido recupero fisico.
I metodi usati sono:
• rapido allungamento attivo ove il muscolo agonista,
contraendosi rapidamente, tende ad allungare il muscolo
antagonista
• lento allungamento attivo ove alla contrazione lenta del
muscolo agonista consegue un lento stiramento
del muscolo antagonista. Questo metodo è migliore
rispetto al precedente
• allungamento passivo che comprende lo stretching e
tutti i metodi che tendono ad allungare il muscolo
senza l’intervento attivo di altri muscoli. È questo
il metodo più efficace.
15.9 Lo stretching
È una tecnica molto efficace e di facile applicazione pratica.
Richiede massima concentrazione per tutta la durata degli esercizi
specie sull’articolazione che si sta mobilizzando e sui muscoli che si
stanno allungando.
Bisogna percepire la tensione ed il rilasciamento del muscolo: va
eseguito in maniera lenta, uniforme e controllata in tutte le fasi del
movimento. Bisogna ricercare la posizione di allungamento in 6-8
secondi circa; la posizione va mantenuta per 20-30 secondi al massimo
grado di rilassamento, evitando irrigidimenti e dolore acuto. Bisogna
quindi ritornare nella posizione di partenza in 6-8 secondi circa.
Gli esercizi di allungamento devono essere eseguiti in posizione
corretta per evitare che atteggiamenti errati possano incidere negativamente
sulle strutture articolari:
• Bisogna rispettare i tempi e le modalità di esecuzione
previsti.
• Non bisogna mai spingere fino all’insorgenza del dolore.
• Bisogna respirare sempre spontaneamente e naturalmente.
• Bisogna eseguire stretching statico in maniera leggera.
• Non bisogna mai eseguire esercizi a freddo.
Circa l’80% degli adulti sono colpiti da dolori alla schiena ma
solo il 20% dei casi deriva da vere e proprie patologie vertebrali. Il
dolore spesso è causato da atteggiamenti posturali non corretti protratti
per lungo tempo (attività professionale, guida auto, televisione,
lettura ecc.)
Per ottenere una corretta postura è indispensabile sollecitare il
tratto della colonna vertebrale sia cervicale che dorsale. Le posizioni
fisse dovrebbero essere fisiologicamente corrette ed interrotte di
frequente almeno ogni ora, assumendo posizioni di rilassamento del
tratto cervico-dorsale e con esercizi di mobilità articolare e di allungamento
muscolare. Il tratto più sollecitato, perché quasi tutto il peso
del corpo grava su di esso, è quello lombare. Bisogna pertanto controllare
come spostare e sollevare i carichi da terra o come portare
correttamente tali carichi ecc.
15.10 Conclusioni
15.10.1 Mortalità generale
1) Elevati livelli di attività fisica regolare sono associati con più
bassi tassi di mortalità complessiva sia per le donne giovani che per
quelle più anziane.
15.10.2 Malattie cardiovascolari
1) Tre revisioni sistematiche e 17 studi ben condotti, prospettici,
randomizzati con durata del follow up fino a 29 anni hanno esaminato
l’associazione tra attività fisica e rischio di malattia coronaria
fatale e non, dimostrando che una attività fisica regolare di tipi aerobico
riduce il rischio di mortalità per malattie cardiovascolari in
generale e per malattia coronarica in particolare (28,29). I dati a disposizione
non sono invece conclusivi riguardo la relazione tra l’attività
fisica e l’ictus.
2) Il livello di riduzione del rischio di malattia coronarica attribuibile
alla regolare attivita fisica nelle donne in menopausa e post
menopausa è simile a quello di altri fattori di stile di vita come la
cessazione del fumo e la normalizzazione dei livelli lipidici.
3) Una revisione sistematica (1996) su 29 studi controllati e randomizzati
ha evidenziato che una attività fisica regolare di intensità
moderata previene o ritarda lo sviluppo di ipertensione arteriosa, e
riduce i livelli pressori nelle donne ipertese (29). (Livello II - Forza
Raccomandazione A).
15.10.3 Neoplasie
1) L’attività fisica regolare è associata con la riduzione di rischio
del carcinoma del colon (30).
15.10.4 Diabete mellito non insulino dipendente
1) L’attività fisica regolare abbassa il rischio di sviluppare un diabete
mellito non insulino dipendente (di tipo 2) e migliora il quadro
lipidemico nelle donne in postmenopausa (31).
15.10.5 Osteoporosi
1) L’attività fisica continuativa sotto carico è indispensabile per
un normale sviluppo scheletrico durante l’infanzia e l’adolescenza e
per raggiungere e mantenere il picco di massa ossea nel giovane
adulto (25). (Livello II - Forza Raccomandazione A)
2) Non è comunque definitivamente chiarito se l’attività fisica di
resistenza è in grado di ridurre l’accelerata perdita ossea nelle donne
in postmenopausa anche in assenza di terapia estrogenica sostitutiva.
15.10.6 Rischio di cadute
1) Esistono promettenti evidenze che l’esercizio fisico muscolare e
altre forme di attività fisica preservano nelle donne anziane la capacità
di mantenere un valido equilibrio e ridurre il rischio di cadute e di
fratture (26,27). (Livello I, II - Forza Raccomandazione B)
15.10.7 Obesità
1) Ridotta attività fisica e conseguente riduzione di consumo di
calorie contribuiscono all’aumento di peso che si riscontra spesso in
postmenopausa. L’attività fisica continuativa riduce l’aumento di peso
e migliora la distribuzione del tessuto adiposo corporeo (32-33).
(Livello 1 - Forza Raccomandazione A)
15.10.8 Salute mentale
1) L’attività fisica sembra ridurre la sintomatologia depressiva ed
ansiosa nel periodo menopausale e migliorare il tono dell’umore.
2) L’attività fisica regolare può ridurre il rischio di sviluppare la
sindrome depressiva ma sono necessari ulteriori studi su questo
punto.
15.10.9 Qualità della vita
1) L’attività fisica è in grado di migliorare la qualità di vita, favorendo
il benessere psicologico e migliorando le capacità funzionali
psicofisiche nelle donne anziane o cagionevoli.